Di che cosa parliamo (veramente) quando parliamo di interdisciplinarità? Una parola che nei contesti di progettazione didattica, a partire dalle Indicazioni nazionali che ne rappresentano la sorgente, ritorna quasi in maniera compulsiva, ma sul cui significato reale nella pratica scolastica non vige consenso unanime.
Nel lungo e complesso cammino delle civiltà umane verso il progresso scientifico e tecnologico, la costruzione di saperi disciplinari sempre più approfonditi e complessi ha richiesto necessariamente la specializzazione dei loro metodi e linguaggi, portando alla costruzione delle cosiddette epistemologie che hanno minato quella unità, quella visione unitaria da cui invece tutto è partito, quella domanda di senso forte che ha scombussolato le credenze religiose dei primi filosofi portandoli a cercare il primo vero arché.
Il nostro sistema scolastico prevede che a questa organica visione unitaria si possa tornare solo in una fase molto avanzata del percorso di studi, tant’è che sono in molti a ritenere che l’unica vera interdisciplinarità sia quella praticata dagli scienziati, dai professionisti e che la scuola sostanzialmente sbaglia se introduce questa metodologia prima, nella fase in cui dovrebbe preoccuparsi di offrire una solida preparazione interna alle discipline stesse.
Ma è davvero così ingenuo affermare che l’interdisciplinarità possa essere coltivata con qualche frutto anche in momenti precedenti alla specializzazione universitaria, che possa generare apprendimento significativo già nei segmenti formativi precedenti?
Forse si può rispondere che bisogna stare attenti a non trascurare il consolidamento dei saperi essenziali, facendo una riflessione su che cosa siano e sfrondandoli da ciò che è accessorio e talvolta persino nocivo (perché magari non aggiornato o non verificato alla luce di nuove acquisizioni), e, in un percorso parallelo, suggerire di far assaporare presto che il gusto autentico della conoscenza risiede nelle connessioni: nelle somiglianze inattese, nelle convergenze, nel saper rintracciare quei fili sottili che uniscono fenomeni lontani, linguaggi diversi, domande che sembrano appartenere a mondi in apparenza separati. Soprattutto in un momento in cui l’interazione con l’Intelligenza Artificiale generativa ci impone di riconoscere che la logica stessa delle interconnessioni — tra dati, saperi e prospettive — è un paradigma imprescindibile per comprenderla e sfruttarla in modo consapevole a scuola.
Sono queste le ragioni che ci hanno spinti a pennellare ogni segmento della nostra scuola di percorsi come STEAM o di Filosofia con i bambini, non per creare ingenui bricoleur o presuntuosi saputelli, ma per ricreare occasioni in cui lo stupore e la meraviglia si riaccendono: nello scoprire che il movimento di un pendolo è spiegato da una legge fisica, o nell’osservare che un cespuglio non va calpestato perché lì dentro vive un intero ecosistema di insetti e microrganismi che contribuiscono alla bellezza e alla salute di quella pianta.
I due esempi provengono entrambi dalla Scuola Primaria. Il secondo, in particolare, è stato una sorta di epifania poiché ha permesso ai docenti che da circa due anni hanno introdotto un percorso di filosofia che coniuga metodologie diverse quali l’Outdoor Education, il dialogo filosofico e la lettura ad alta voce – quest’anno declinate attorno al tema della Costituzione – di ottenere un’immagine sorprendentemente efficace e sintetica della traslazione del concetto di ‘socialità’ dalla politica alle scienze naturali, nutrito dal paradigma ecologico tanto centrale nei documenti europei che si occupano di istruzione e formazione.
Qualcuno obietterà che forse ha poco senso l’osservazione di quel bambino se poi non sa definire esattamente che cos’è un ecosistema, a quale specie arborea appartiene quell’arbusto, o se ancora nemmeno ha capito bene che cosa sia una Costituzione e che cosa c’entri con le piante. Qui è il punto. Forse un episodio del genere ci suggerisce che è arrivato il momento di stimolare un attivismo cognitivo ed etico in cui delle conoscenze si comprenda ben presto la viva utilità, perché radicate in esperienze che generano domanda, attenzione, sguardo sul mondo, alimentando la capacità di vederlo come un tessuto continuo di relazioni in cui il sapere è un invito a comprendere e ad agire.