E io divenni solo un nome sul giornale

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Data di pubblicazione: 7 Maggio 2025

Nel “Vivaio Creativo” della nostra scuola questo mese fiorisce un nuovo talento: Ginevra Ariel Shachar, studentessa della Middle School, ci sorprende e ci commuove con un racconto intenso sulla violenza di genere, nato durante un laboratorio di scrittura. Una narrazione toccante che affronta, in una delicata chiave simbolica, i temi del dolore, della memoria e della speranza. Buona lettura!

 

“Va bene, va bene, tanto sono quasi arrivata!” – aggiunsi attaccando di fretta, visto che il semaforo era diventato di nuovo verde. Ero così emozionata al pensiero di ricevere una lettera,  che mi ero completamente scordata il motivo per cui avevo chiamato mamma. Mentre gocce di pioggia penetravano nel sedile accanto al mio tramite il finestrino aperto e un freddo venticello mi soffiava sul viso, i miei pensieri si soffermarono sul possibile mittente della misteriosa lettera. Forse la mia amica di penna, Sara? Forse qualche mio parente che non vedevo da tempo e che non era abituato a mandare messaggi? Un’altra persona che mi veniva in mente era Elias, un ragazzo a cui piacevo. Gli avevo detto più volte di lasciarmi in pace, ma lui continuava a spedirmi lettere, perché lo trovava romantico.  Per fortuna, la trovavo un’opzione improbabile, considerando che dopo l’ultima sgridata di mio padre si era finalmente deciso a lasciarmi in pace, infatti non mi scriveva da più di un mese.

Ero così assorta nei miei pensieri che praticamente non mi accorsi di avere quasi investito una colomba! La vidi spiegare le sue ali candide, cercando di volare contro la pioggia forte. Fui profondamente turbata da quest’accaduto.

Mi affrettai a tornare a casa, per scoprire il contenuto della lettera. Parcheggiai la mia microcar alla bene e meglio a qualche metro dall’ingresso di casa poiché non avevo trovato parcheggio e scesi con l’ombrello. Nonostante l’aria tetra causata dal tempo, mi sentivo gioiosa. Saltellavo di qua e di là, giocherellando con i miei lunghi capelli biondi. In quel momento, il mondo girava al ritmo dei miei passi, il fruscio del vento e lo scroscio della pioggia erano una canzone composta apposta per me. Pensavo alla lettera, ero sicura che fosse di Sara, probabilmente con qualche aneddoto divertente sulla sua vita quotidiana. Arrivai davanti alla cassetta della posta, notando lo sfarfallio delle luci del lampione davanti a me. “Maria” – chiamò una voce distante, proprio mentre stavo aprendo la lettera – “Maria!” – si faceva sempre più vicina, chiaramente maschile. “So che sei andata in discoteca l’altra sera”, c’era scritto, “non ti devi permettere hai capito? Sei mia, solo MIA” firmato Elias. Parole stampate su carta, che segnarono la mia fine. Quando capii chi mi stava chiamando, era già troppo tardi. Urlai più forte che potevo, ma niente, non si fermò nessuno ad aiutarmi. Forse perché non mi sentivano, forse perché non volevano sentirmi. Lui mi si presentò davanti, coltello in mano, e io divenni solo un nome sul giornale.

Adesso vivo attraverso i ricordi dei miei cari, il ritmo frenetico delle gocce che martellano il suolo e il vento fresco. Purtroppo, sono anche ricordata attraverso coloro che dicono che Elias era solo un ragazzino incompreso, con dei sogni, delle aspirazioni; la cosa che non vedono è che quei sogni e quelle aspirazioni le avevo anch’io. Li perdono, nonostante tutto, perché se la mia storia riuscirà ad evitare anche ad una sola altra persona di incontrare il mio stesso destino, allora andrà bene così. Saluto la me di prima di quel giorno fatale, adesso sono la colomba che incontrai quel giorno fatidico.

Ginevra Ariel Shachar, 13 anni, Scuola Media (Laboratorio di scrittura creativa)

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